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Peggio che essere invisibili. «Almeno loro hanno un'ombra, noi invece siamo fantasmi, ci vedono solo i visionari». La mette un po' sul paradosso Giuseppe Lupoi, presidente del Colap, il coordinamento delle libere associazioni professionali che raggruppa circa 3 milioni di lavoratori e 214 associazioni. Eppure il disagio è autentico e la condizione non certo ottimale. «Non è tanto la crisi economica a preoccuparci — spiega Lupoi— quanto le prospettive per il futuro: non siamo rappresentati da ordini professionali, non abbiamo ammortizzatori sociali e abbiamo un trattamento previdenziale paragonabile solo alle pensioni di solidarietà sociale».

Iniziamo dal primo punto, l’ordine professionale: il Colap non lo chiede. Anche perché sarebbe quasi impossibile avere un unico ente per una galassia di figure professionali che comprende tributaristi, archeologi, amministratori di condominio, naturopati, bibliotecari o revisori contabili. «Infatti noi non chiediamo alcun ordine — conferma Lupoi— però abbiamo bisogno di una regolamentazione dell’associazionismo. Lo Stato individui pure i requisiti che ciascuna aggregazione dovrà avere per essere riconosciuta, ma ci rilasci un attestato che ci dia credibilità in Italia e all’estero. Non bisogna dimenticare che tra qualche mese entrerà in vigore una direttiva comunitaria che impedisce di esercitare a chi non ha un riconoscimento statale. Se così sarà, non potremo più lavorare all’estero».

Esiste poi qualche problema di convivenza con gli ordini professionali. «Mettiamola così: loro erano i figli unici di questo Stato, noi siamo nati dopo e quindi, come tutti i figli unici, gli ordini sono un po’ arrabbiati per l’arrivo dei nuovi fratellini». Una rabbia che rischia di trasformarsi in una guerra tra professionisti. «Stanno costruendo un recinto da cui vogliono buttarci fuori. Prendiamo gli avvocati: chiedono che sia vietata la consulenza legale a chi non è iscritto all’ordine. Questo metterebbe fuori mercato i tanti manager che danno consulenza di diritto bancario o i tributaristi che si occupano di diritto assicurativo». Alla fine però toccherà al legislatore l’ultima parola per stabilire le competenze e ruoli in merito.

Resta ancora insoluto, invece, il nodo legato a welfare e ammortizzatori sociali. Questi ultimi sono inesistenti per tutti i professionisti (anche quelli iscritti agli ordini): chi perde il posto durante questa crisi non troverà riparo in cassa integrazione, non avrà una moratoria dei debiti, non potrà contare su sconti fiscali. Non a caso, una parte del mondo professionale chiede di essere equiparato a quello delle piccole e medie imprese che, per dimensioni e fatturato, gli somiglia di più. «Ma è dalla previdenza che arriva l’incognita più grossa — aggiunge Lupoi —. Dal 2010 verseremo il 27% del nostro reddito alla gestione separata dell’Inps per poi averne in cambio pensioni da fame. Abbiamo nostri associati che dopo 12 anni di versamenti hanno diritto a una pensione da 202 euro. E in generale la media delle nostre retribuzioni si aggirerà intorno a 500 euro. Pensioni indegne di un Paese civile che destina ai professionisti un sistema previdenziale che preclude una vita normale». Come se fossero fantasmi.

titolo: La pensione? Meno di quella sociale
autore/curatore: Isidoro Trovato
fonte: Corriere della Sera
data di pubblicazione: 01/12/2009

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